Nel 160° anniversario della Campagna meridionale LA SPEDIZIONE DEI MILLE E MAZZINI

di Giovanni Zannini

Giuseppe Garibaldi compì la grande impresa della spedizione dei Mille per liberare il sud della penisola dai Borboni e addivenire all’unità d’Italia: ma da chi trasse ispirazione? Da lui stesso, oppure furono altri ad ispirarlo?

E la risposta, per quanto strano possa apparire, è: Giuseppe Mazzini ed i suoi seguaci. Proprio colui che di Garibaldi aveva sempre avversato la strategia: l’unità d’Italia nel nome e sotto la guida dei Savoia. Lui che, fedele al suo motto “Dio e popolo”, affidava invece il comune sogno dell’unità italiana ad insurrezioni popolari da fomentarsi in ogni parte della penisola, e ad una guerra per bande che, sull’esempio di tanti martiri caduti nei vari tentativi, avrebbero trascinato gli italiani ad un’insurrezione generale.

Già nel 1854 in un incontro a Londra, Mazzini aveva invitato Garibaldi a capeggiare la spedizione in Sicilia contro i Borboni trovandosi però dinanzi ad un netto rifiuto del Generale che non riteneva maturi i tempi per tale audace operazione.

Ma a fargli mutare idea, furono alcuni anni dopo, alcuni mazziniani siciliani, numerosi nell’isola, fra cui Francesco Crispi, Rosolino Pilo, Giovanni Corrao, Giuseppe La Farina, che già avevano partecipato ma, ahimè, senza successo, all’insurrezione del 1848 contro i Borboni, e che agli inizi del 1860 tornarono di nuovo alla carica.

Chiara la lettera che Rosolino Pilo – un nobile mazziniano palermitano che aveva partecipato alla rivoluzione del 1848 nella sua città e poi collaborato con Pisacane alla sua fallita avventura del 1858 che lo aveva convinto della necessità di cambiare il sistema di lotta chiedendo aiuto a forze esterne al movimento – d’accordo con Francesco Crispi, inviò da Genova, il 24 febbraio 1860, a Garibaldi.

Con essa lo informava di “mezzi preparati e messi insieme in Sicilia da Mazzini che non fa questione di repubblica, per riuscire non ad un moto scomposto (come quelli soliti mazziniani…nda) ma ad un’azione seria” Per questo, una volta che Garibaldi fosse riuscito a procurarsi i fondi per i volontari, egli si sarebbe recato in Sicilia per iniziare “un fatto serio nel mezzogiorno ove voi a nostro avviso telegrafico, dovreste farci la grazia di recarvi per capitanarci…”. E concludeva: “…si, Generale stimatissimo, è tempo che voi non veniate meno all’Italia… Dai vostri ultimi scritti ho visto che voi siete convinto che non resta se non l’armarsi e l’audacia e la fermezza di proposito agli italiani per liberarsi degli stranieri che tuttavia baldanzosi stanno nella penisola…

Dopo di ciò, il 28 marzo 1860, assieme a Giovanni Corrao, Rosolino Pilo partì per la Sicilia ove accese la scintilla che portò alla fine del Regno delle due Sicilie. L’insurrezione ebbe successo nel contado, mentre a Palermo incontrò difficoltà che mal riferite (per errori di trasmissione) a Garibaldi, lo posero nel dubbio se partire o rinunciare. Ma il 5 maggio, pur ignorando se al suo arrivo nell’isola avrebbe trovato un popolo che lo accoglieva festante o le agguerrite truppe borboniche pronte a rigettarlo in mare Garibaldi si decise, e gli andò bene.

Rosolino Pilo, dopo lo sbarco a Marsala, si unì immediatamente alle sue camicie rosse in marcia verso Palermo cadendo in combattimento sei giorni prima della presa della città. Alla sua memoria fu conferita, il 30 settembre 1862, la medaglia d’oro al valor militare con la seguente motivazione: “Morto sul campo combattendo con valore a S. Martino di Monreale il 21 maggio 1860.